PILLOLA DI SPORT
ATLETICA: JESSE OWENS BERLINO 1936, QUATTRO ORI MA TANTO RAZZISMO…NEGLI STATI UNITI
Il 3 agosto del 1936, Jesse Owens vinse la medaglia d’oro nei 100 metri durante il secondo giorno delle Olimpiadi di Berlino. All’epoca aveva 23 anni, era figlio di un agricoltore nero del sud degli USA. Secondo la leggenda, tramandata ai posteri, dopo la sua vittoria Adolf Hitler abbandonò lo stadio infuriato senza stringergli la mano. Non andò così. Lo stesso atleta americano affermò in seguito che lo stesso Hitler presenziò alla premiazione, addirittura facendo un gesto con la testa di approvazione. Owens vinse altre tre medaglie d’oro nel corso dei giochi, mettendo in imbarazzo i nazisti e le loro idee sulla superiorità della razza ariana.
Le Olimpiadi di Berlino del 1936 furono organizzate come una grande celebrazione del nazismo. Miliardi di marchi vennero spesi per creare o ristrutturare stadi e palazzi e mettere in piedi colossali coreografie che mettessero in mostra la potenza della Germania nazista. Il successo sportivo alle Olimpiadi sarebbe servito alla propaganda per confermare le tesi naziste sulla superiorità della razza ariana.
In molti, negli Stati Uniti, avevano chiesto di boicottare le Olimpiadi naziste. All’epoca il regime di Hitler aveva già dimostrato di essere una dittatura illiberale e antisemita. Il boicottaggio non ebbe successo ma molti giornali internazionali furono parecchio critici con Hitler e il suo regime e scrissero molto dei successi degli atleti afroamericani della squadra degli Stati Uniti.
Tra tutti i dieci atleti neri della squadra americana, il migliore fu Jesse Owens. Vinse la medaglia d’oro nei cento metri, nel salto in lungo, nei 200 metri. Infine, il 9 agosto, vinse la sua quarta medaglia d’oro nella staffetta 4×100 metri. Era una gara a cui Owens non era nemmeno iscritto, ma partecipò dopo che la squadra americana decise di non far partecipare due atleti ebrei a causa delle pressioni dei nazisti.
Hitler in realtà non fu così infastidito dalle vittorie degli afroamericani, Albert Speer, che all’epoca era l’architetto più famoso della Germania ed era molto vicino al partito nazista, scrisse nelle sue memorie che Hitler liquidò la questione sostenendo che, essendo gli afroamericani un popolo primitivo, avevano una costituzione fisica più robusta e più adatta alla corsa. Effettivamente, il primo giorno delle Olimpiadi Hitler non strinse la mano a un atleta nero, ma in generale non si congratulò con nessun altro atleta che non fosse tedesco.
Per diverso tempo dopo il suo ritorno a casa, Owens difese il modo con cui era stato trattato da Hitler e dalla Germania, soprattutto in confronto all’accoglienza che aveva ricevuto dai suoi connazionali una volta tornato negli Stati Uniti, dove la segregazione razziale era ancora in vigore. Owens non fu ricevuto dal presidente americano Franklin Delano Roosevelt, come da prassi per gli atleti pluripremiati e non gli fece nemmeno una telefonata di congratulazioni.
In Germania Owens aveva dormito negli alberghi insieme agli altri atleti e alle altre celebrità. Quando negli Stati Uniti partecipò a una manifestazione all’albergo Waldorf Astoria, fu costretto a entrare dall’ingresso posteriore e a utilizzare l’ascensore di servizio invece di quello riservato agli ospiti bianchi dell’albergo.
In un’intervista dell’epoca ebbe ad affermare: “Quando sono tornato nel mio paese non potevo ancora sedermi nella parte anteriore degli autobus ed ero costretto a salire dalla parte posteriore. Non potevo vivere dove volevo. Allora qual è la differenza? Non fu Hitler a farmi un affronto. Fu Roosevelt”.
Max Marzilli