8 marzo….la festa a cura di Officina creativa aquinate

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Artemisia Gentileschi di Teresa di Sotto

Una vita da romanzo e uno stile in grado di catturare il senso profondo della realtà. Artemisia Gentileschi è tutto questo: non solo una pittrice (e che pittrice!) che riuscì ad imporsi nel panorama artistico del XVIII secolo- cosa non facile in un’epoca così fortemente maschilista –  ma una donna che decise di non abbassare la testa di fronte al sopruso e alla violenza. Ecco la sua storia.
Artemisia Gentileschi nacque a Roma l’8 luglio del 1593, figlia di Prudenzia di Ottaviano Montoni e Orazio Gentileschi, pittore d’origine pisana che introdusse la giovane Artemisia nell’ambiente artistico. A 5 anni infatti la bimba divenne orfana di madre e ciò non fece che saldare ulteriormente il rapporto con il padre, il quale seppe valorizzare il talento naturale di Artemisia e l’avvicinò alle tecniche pittoriche del Caravaggio, già apprezzatissimo all’epoca e vero “idolo” di Orazio.
Apprese le basi del mestiere, dal disegno fino alla preparazione dei colori, Artemisia cominciò una vera e proprio collaborazione con il padre e nel 1610, a soli 17 anni, concluse la sua prima opera importante, Susanna e i vecchioni, che ai posteri può apparire già come un preludio alla “poetica” dell’artista, poco incline ad accettare la posizione sottomessa che il mondo di allora riservava alle donne. Il quadro infatti ha per protagonista una donna, Susanna, sottoposta ad un ricatto umiliante da parte di due vecchi.
Nel 1613 poi fu la volta di un’altro dipinto con protagonista una forte figura femminile, Giuditta che decapita Oloferne, dove l’eroine biblica uccide il terribile generale Oloferne, che voleva conquistare Gerusalemme.
Tale quadro è passato alla storia perché completato negli anni successivi ad un episodio che segnò profondamente la vita di Artemisia Gentileschi. Nel 1611, infatti, uno dei suoi maestri, tale Agostino Tassi, usò violenza carnale sulla giovane artista, salvo poi proporre al padre Orazio di sposare la ragazza con un matrimonio riparatore. Oggi (fortunatamente) può sembrare strano, ma ai tempi non era insolito che uno stupratore finisse per diventare il marito della ragazza violentata per “rimediare” al peccato.
Artemisia però a differenza di ciò che avrebbero fatto molte sue contemporanee, rifiutò l’accomodamento e, cosa incredibile per l’epoca, denunciò alle autorità il suo aguzzino. La pittrice però venne sottoposta a umilianti visite mediche e torture per verificare la verità dei fatti (in quegli anni era quasi scontato che la colpa della violenza venisse attribuita alla donna, colpevole di aver sedotto e provocato il suo aggressore).
Alla fine però, dopo essersi sottoposta a dolori fisici indicibili e che avrebbero messo a repentaglio anche la sua carriera, Artemisia Gentilischi riuscì a far condannare Agostino Tassi, che dovette scontare cinque anni di prigione. Era un fatto più unico che raro!
In seguito la pittrice si sposò con un altro pittore (molto meno talentuoso di lei), Pierantonio Stiattesi, e cominciò a lavorare tra Firenze, Roma, Venezia, Napoli e
persino Londra, dove raggiunse il padre per lavorare alla corte di re Carlo I Stuart. A metà del ‘600 infine, quando l’Inghilterra stava per sprofondare nella guerra civile, Artemisia, ormai celebre in molte corti d’Europa, tornò a Napoli, dove morì nel 1653.